“Un quarto di secolo” trionfa al Premio Ugo Betti per la drammaturgia
Venerdì 10 giugno nell’Auditorium Andrea Bocelli si è conclusa la XVIII edizione del Premio Ugo Betti per la drammaturgia con la consegna dei premi al vincitore e ai segnalati.
Alfonso D’Agostino, autore di Milano, con la sua opera “Un quarto di secolo” trionfa sui 27 testi che hanno partecipato affrontando il tema di questa edizione: “Teatro e giustizia: la responsabilità, la colpa, il perdono” e che sono stati valutati dalla giuria composta da Pierfrancesco Giannangeli, docente di Storia dello spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Macerata, Vincenzo Luzi, magistrato a riposo, cultore di studi letterari, Massimo Marino, saggista, storico, giornalista e critico teatrale e Marco De Marinis, presidente, già ordinario di Discipline teatrali nel Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna.
Un quarto di secolo (complesso drammone in tre atti) evidenzia una scrittura quasi sempre efficace, fondata da un lato sul ritmo della narrazione – aspetto importante nel suo trasferimento sul palcoscenico – e dall’altro sull’originalità della trama.
E’ una vicenda distopica, che si svolge in un luogo e in un tempo imprecisati (e tuttavia in epoca postpandemica, dove sono i pro-vax ad essere diventati fuorilegge), capace di aprire uno squarcio livido (nonostante un sottofondo moralistico forse troppo evidente) su di un mondo governato dalla dittatura dei “cattivi”, i quali rovesciano l’etica comune per fornire solide fondamenta a uno Stato in cui il cittadino è visto come un impedimento al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal burocratico governo dei pochi e malvagi.
Quella raccontata dal dramma è una società basata su di un’economia malthusiana nella quale le risorse di qualsiasi natura, comprese quelle umane, vengono razionate con tutti i metodi illeciti possibili, a vantaggio di un’amministrazione preoccupata solo dei sordidi interessi di una ridotta nomenclatura autocratica. Un apprezzabile colpo di scena, poiché tutti i personaggi hanno comunque un passato, rovescerà i termini della questione, utilizzando accenti e atmosfere che richiamano le maggiori opere bettiane.
Segnalato il testo “Petru – Processo in città con vista mare” di Antonio Basile, autore di Bacoli (NA)
Pur con qualche schematismo, Petru ritrae Napoli, città difficile, che brucia nella camorra la sua gioventù senza prospettive.
Il testo mostra due fratelli – uno che ha scelto la scorciatoia della violenza e del sopruso criminale; l’altro studente, ma incapace di prendere posizione, di “fare l’eroe”.
I personaggi più veri, però, sono le donne: Constanta, moglie della vittima della sparatoria dei camorristi, il romeno Petru; Filomena, ex contrabbandiera e ora venditrice di banane, voce profonda di Napoli; la madre dei due fratelli.
Pur con qualche scena abbastanza scontata, il testo rivela, anche grazie all’uso della lingua napoletana, vari momenti felici teatralmente, con canzoni e momenti di gruppo che contribuiscono a rendere la polifonia di una città sospesa.
E l’opera “Per alzata di mano” di Fabio Sicari di Bergamo
Per alzata di mano, al pari del lavoro premiato fa i conti con la pandemia, colta nel momento più buio, quello dell’autunno 2020. Se tuttavia in Un quarto di secolo la pandemia costituisce solo lo sfondo per la costruzione di una complicata trama distopica, in questo testo fatto di soli dialoghi e praticamente privo di azioni e accadimenti (salvo nel finale), si decide addirittura di portare alla sbarra il Covid stesso, debitamente personificato.
Il procedimento giudiziario sarà l’occasione per una requisitoria sui problemi drammatici patiti da un mondo governato dalle forze del male, che vogliono sfruttare anche le pandemia (forse da loro stesse provocata) per i loro scopi criminali e quindi avversano la scoperta di un provvidenziale vaccino (ulteriore punto in comune con Un quarto di secolo).
Un colpo di scena alla fine porta al rovesciamento provvidenziale, tanto inverosimile drammaturgicamente quanto improbabile nella realtà, con il bene che prevale sul male e con i due soli personaggi in scena, Covid e Giudice, che si svelano come le anime (buone, appunto) di due morti a causa del terribile virus.
Il pomeriggio si è aperto con il benvenuto del Commissario straordinario della città di Camerino, Paolo De Biagi, che ha sottolineato l’attenzione di Camerino per le iniziative culturali anche in un periodo di grandi difficoltà, quindi ha preso la parola il direttore del Centro studi teatrali e letterari Ugo Betti, Giuseppe De Rosa.
Carla Carotenuto, docente di letteratura italiana contemporanea all’Università di Macerata e componente del Centro studi insieme ad Angela Amici e a Donatella Pazzelli con funzioni di segretaria, ha parlato di “Corruzione al Palazzo di Giustizia”, dramma bettiano in serata magistralmente rappresentato nell’Auditorium Benedetto XIII dalla Compagnia Teatrale Piccola Ribalta con la regia di Antonio Sterpi.
Il M° Vincenzo Correnti, direttore artistico dell’Istituto musicale “Nelio Biondi”, ha eseguito di Nino Rota, la suite per “Spiritismo nell’antica casa”.
Una stanza tappezzata di un rosa qua e là sbiadito. Si vede il principio di una scala che sale. Una pendola alla parete. Il lampadario è acceso.
I padroni di casa, cioè Enzo e sua moglie Irene, ambedue sulla sessantina, hanno finito di cenare. Si vede la seggiola vuota di un terzo commensale già uscito. La domestica Ester va e viene sparecchiando la piccola mensa. Si ode nel silenzio, da una casa vicina, un suonatore di clarino che ripete fino all’ossessione un esercizio elementare.
In conclusione la consegna del Premio alla carriera a due signore del teatro, Marzia Ubaldi e Emanuela Moschin che hanno regalato al pubblico un sublime momento di spettacolo interpretando un brano di “Delitto all’isola delle capre” di Ugo Betti.
Gastone Moschin firmò la regia di un capolavoro che debuttò al teatro “Argentina” di Roma il 16 dicembre 1992 per poi toccare i più importanti palcoscenici italiani. Nella tournée 1992-1993 Gastone Moschin interpretava il ruolo dello “straniero” Angelo, Marzia Ubaldi era Agata ed Emanuela Moschin era Silvia e oggi come allora le due attrici hanno saputo trasmettere forti emozioni.